Bertazzo 1840
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Ambasciatrice del Friularo

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la Famiglia Bertazzo va alla conquista di nuovi mercati.

La famiglia Bertazzo si è insediata in San Cosma nei primi decenni del 1800: lo riportano i documenti storici custoditi nel Comune di Monselice. Il capostipite fu Domenico Bertazzo, soprannominato “Capo”, perché capo uomini di un’azienda agricola molto importante di Villa Estense, di proprietà di un generale veneziano all’epoca della Serenissima il quale, perdendo potere economico con il decadere della Repubblica, cedette l’azienda ad un nobile padovano.

Signor Bertazzo, la sua famiglia affonda le radici in questa terra. Come si è evoluta nel tempo la tenuta?

È nata e si è sviluppata per molti anni come azienda agricola che, con l’allevamento del bestiame, la coltivazione di cereali, e della vite, era sostanzialmente autosufficiente. Negli anni ’80, quando la zootecnia stava attraversando una fase critica, si decise di eliminare questa attività e specializzarsi in viticoltura, ristrutturando gli ambienti adibiti a stalla e attrezzandoli a moderna cantina. Tale scelta era supportata anche dal riconoscimento della zona che, alla fine del 1800, al tempo del salvataggio della vite attaccata dalla filossera, era considerata la più vocata tra quelle a ridosso dei Colli Euganei. In quell’occasione infatti l’area di San Cosma accolse con successo tutti i vitigni reimpiantati in attesa che le alture venissero bonificate. E da allora la vite qui si è integrata completamente rimanendo la coltura prevalente. Nel 2000 - riprende Silvano - quando mio padre Nazzareno ha deciso di cedere a me l’azienda, ho puntato tutto sulla viticoltura, in cui credo fermamente, supportato anche dai miei figli che mano a mano si sono inseriti in tenuta: Giacomo con responsabilità in area tecnica e Nicolò in area commerciale. Ad oggi, su una superficie di 90 ettari, tra proprietà e affitto, 70 sono dedicati ai vigneti e i rimanenti 20 a seminativi, indispensabili per assicurare un’ottimale rotazione tra vecchi e nuovi impianti.

amelia belluco e luigi bertazzo

Qual è la filosofia che vi sta guidando nelle scelte produttive?

Il nostro pensiero predominante è quello di aver cura di tutti i settori, in modo particolarmente attento e rispettoso tanto dell’ambiente quanto della produzione. Intendo dire che abbiamo ricercato la qualità a partire dalla vigna, ristrutturando tutti i vigneti con impianti moderni, applicando nuove metodologie rivolte a salvaguardare la pianta e l’uva. Ci siamo affidati ad un team di agronomi, con cui collaboriamo tuttora, che, all’inizio, ci ha fatto moltissima formazione. La densità dei nostri vigneti si attesta sulle 4200 piante per ettaro con allevamento a doppio capovolto ed un sistema di potatura a sperone capoafrutto, che preserva la pianta dalle malattie dovute al taglio. Questo è importante, perché ne consegue una minore necessità di trattamenti in vigna. Dagli investimenti in campagna, - prende la parola Giacomo - siamo passati a quelli in cantina con l’acquisto di nuovi impianti di pigiatura e pressatura soffice a garantire il massimo rispetto delle uve. Abbiamo adottato la tecnologia del freddo per controllare i mosti durante la fermentazione e preservare profumi e aromi dei grappoli che vendemmiamo di notte. La raccolta effettuata quando le temperature sono ancora relativamente basse, fa sì che le viti non vengano stressate e nemmeno i suoi frutti, che arrivano in cantina ancora freschi. Il risultato è un prodotto stabilizzato, qualitativamente elevato e poco esposto a necessità di correzioni con pratiche di cantina.

Dunque questi sono i tratti distintivi che ritenete vi possa differenziare e contraddistinguere nel vasto mondo dei produttori?

Sì certo! - risponde Silvano - Ma se gli investimenti fatti in vigna e conseguentemente in cantina sono determinanti per una produzione di qualità ma pur sempre condivisa con altre realtà, la scelta di investire su varietà tipiche della zona, quindi di non seguire pedissequamente le richieste di mercato ma di valorizzare il territorio e preservare dall’oblio vitigni autoctoni, è senz’altro un tratto che ci riguarda molto da vicino. Il nostro impegno dunque è anche quello di salvaguardare, coltivare e promuovere i vitigni autoctoni: primo fra tutti il Friularo. Poco conosciuto, forse un po’ scontroso, ama spazi ampi, luce e aria, che qui non mancano. La sua particolare acidità conferisce all’uva una grande versatilità di vinificazione, permettendo di ottenere vini rossi di corpo e strutturati, morbidi vini passiti, freschi ed eleganti spumanti. La decisione presa lo scorso anno, assieme al nostro enologo Antonio Landolfi, di sperimentare e proporre queste diverse versioni, compreso un ripasso sulle vinacce, ci ha convinto ad investire ulteriormente su questo vitigno spingendoci a prendere in affitto dei terreni vitati di proprietà di un anziano signore che aveva gelosamente difeso la coltivazione di un particolare clone di Friularo, impossibile da reperire in altro modo sul mercato.

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